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IN GIAMBELLINO C’È «UN MODO DIVERSO DI FARE COMMERCIO»

Vito Landillo è un macellaio di carne equina. Trent’anni fa entrò a bottega nel Mercato Comunale Coperto di via Lorenteggio 177, dove lavorava al banco insieme al signor Franco, suo padre, dopo aver lasciato Trapani nell’81. Aveva quattordici anni. La particolarità del prodotto e una conduzione efficiente non sarebbero però bastate a consolidare un’impresa in buona salute, se Vito e famiglia non avessero anche svolto “fra le righe” un’altra attività: un modo d’intendere, prima che il lavoro stesso, anche il proprio posto in Giambellino, fra le persone che vi abitano. «Ci distacchiamo dalla grande distribuzione – racconta Vito. Intendiamo il nostro servizio in modo diverso, perché sappiamo come si vive nella zona e conosciamo chi fa fatica, soprattutto gli anziani… è proprio un modo diverso di fare commercio».

 

LUOGO DI COMMERCIO MA ANCHE PRESIDIO DI COMUNITÀ

Le storie dei commercianti storici, oggi consorziati per gestire la “nuova stagione” del “mercatino” (così viene chiamato da molti), mettono insieme una piccola vicenda comune. Costruito nel dopoguerra per facilitare l’accesso ai beni alimentari nel quartiere popolare, fino agli anni ’90 è un affollato punto di riferimento per tutto il Giambellino, pieno di negozi e umanità. Anziché dire «vado al mercato a fare la spesa», gli abitanti dicevano «vado a segnare«, perché gli acquisti venivano segnati dai commercianti su un libretto e il saldo fatto a fine mese, quando arrivavano gli stipendi e le pensioni.

 

LA “SECONDA VITA” DEL MERCATO: NEL 2010 UNA PETIZIONE CONTRO LA CHIUSURA

Poi è arrivata la crisi del commercio di prossimità di fronte ai grandi supermercati, in un Giambellino che risorgeva alle cronache come l’emblema di povertà, degrado, disoccupazione, solitudine e inefficienza delle politiche sociali. Mercato Lorenteggio si è svuotato in un lento abbandono: di clienti, traffico, prospettiva. Questo piccolo presidio di comunità sembrava nel 2010 destinato a chiudere i battenti. Furono i pochi commercianti rimasti e 600 abitanti del quartiere a firmare la petizione che nel 2012 avrebbe dato al Mercato Lorenteggio una “seconda vita”, quella che tutti oggi possiamo toccare con mano.

 

FARE I CONTI CON IL MUTAMENTO DEL QUARTIERE MUTANDO CON ESSO

I commercianti del mercato insegnano anche un’altra cosa: fare i conti con il mutamento del quartiere mutando con esso è come lasciare aperta la porta di casa, dando approdo a chi vive ai margini e presidio a una storia collettiva, quotidiana come la spesa e le quattro chiacchiere con Susanna, che a fine giornata lascia pane e dolci alla signora M. da distribuire alle famiglie indigenti del quartiere, con Antonietta, che da vent’anni vende salumi e formaggi insieme a Claudio e conosce le vicende di tutti i pensionati e gli intrighi di tutte le coppie della zona, o con Carlo, macellaio, che per farsi capire dalla novantenne A. ha dovuto imparare il dialetto milanese e tutte le volte la vezzeggia sul vestito, le scarpe, i capelli.

 

UNA “VECCHIA CASA” A CUI IL QUARTIERE È AFFEZIONATO

Non solo, dunque, Vito, Claudio, Antonietta, Susanna, Carlo e anche Rino, Luciana e tutti gli altri commercianti, ma anche gli abitanti del quartiere trovano nel Mercato “una vecchia casa a cui sei affezionato”, come dice Vito, una casa che ascolta da dove vieni e chi sei, negli anni funziona come rifugio, incontro, ristoro, socialità, transito, passaparola. Col tempo, il Mercato è diventato anche un centro “culturale”, non solo locale ma aperto al resto della città. Un luogo per chi vuole esibirsi, uno spazio di confronto, di presentazione di libri, di proiezioni di film. E alla fine un posto che sostiene iniziative che abbiano un positivo sul territorio come ad esempio La Scuola dei Quartieri.

 

 

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2. Giambellino e dintorni, Bellastoria